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Tlon, Uqbar, Orbis Tertius

di J.L. Borges

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Quella stessa sera fummo alla Biblioteca Nazionale; ma invano disturbammo atlanti, cataloghi, annuari di società geografiche, memorie di viaggiatori e di storici. Nessuno era mai stato a Uqbar. Neppure l'indice generale dell'enciclopedia di Bioy registrava questo nome. Il giorno dopo, Carlos Mastronardi (cui avevo riferito il caso) adocchiò in una libreria le costole in nero e oro della Anglo-American Cyclopaedia. Entrò e consultò il volume XLVI. Naturalmente, non trovò la minima traccia di Uqbar.
II
All 'Hotel de Adrogué, tra i caprifogli effusivi e il fondo illusorio degli specchi, sussiste ancora un qualche ricordo limitato e decrescente di Herbert Ashe, ingegnere dei Ferrocarriles del Sur. In vita, come tanti inglesi, aveva patito d'irrealtà; morto, non è nemmeno più il fantasma che era stato. Alto, disincantato, la sua stanca barba rettangolare era stata rossa. Pare che fosse vedovo, senza figli. Ogni anno o due andava in Inghilterra: per visitare (a quanto giudico da fotografie che ci mostrò) una meridiana e alcuni roveri. Mio padre aveva stretto con lui (ma il verbo è eccessivo) una di quelle amicizie inglesi che cominciano con l'escludere la confidenza e prestissimo omettono la conversazione; solevano scambiarsi libri e periodici; solevano affrontarsi, taciturnamente, agli scacchi... Lo ricordo nell'atrio dell'albergo, con un libro di matematica in mano. guardando a volte i colori irrecuperabili del cielo. Una sera, stavamo parlando del sistema di numerazione duodecimale (in cui il dodici si scrive dieci); Ashe mi disse che stava traducendo non so che tavole duodecimali in tavole sessagesimali (in cui sessanta si scrive dieci). Aggiunse che questo lavoro gli era stato affidato da un norvegese a Rio Grande do Sul. Otto anni che lo conoscevamo, e non ci aveva mai detto di essere stato laggiù...
Parlammo di vita pastorale, di capangas, dell'etimologia brasiliana della parola gaucho (che alcuni vecchi dell'est pronunciano ancora gaúcho), e non fu più questione - Dio mi perdoni - di funzioni duodecimali. Nel settembre 1937 (noi non eravamo in albergo), Herbert Ashe morì della rottura di un aneurisma. Giorni prima aveva ricevuto dal Brasile un pacchetto sigillato e raccomandato. Era un libro in ottavo grande. Ashe l'aveva lasciato al bar, dove - mesi dopo - lo ritrovai. Mi misi a sfogliarlo e provai una vertigine stupita e leggera, che non descriverò, perché questa non è la storia delle mie emozioni ma la storia di Uqbar, di Tlön e dell'Orbis Tertius. In una notte dell'Islam che chiamano la Notte delle Notti, si spalancano le porte del cielo e l'acqua si fa più dolce nelle brocche; se queste porte, allora, si fossero aperte, non avrei provato quello che provai. Il libro era scritto in inglese ed era di 1001 pagine. Sulla gialla sua costola di cuoio lessi queste parole, che il frontespizio ripeteva: A First Encyclopaedia of Tlön.
Vol. XI. Hlaer to Jangr. Non v'era data né luogo di pubblicazione. La prima pagina, e la velina d'una delle tavole, portavano un timbro ovale, turchino, con questa iscrizione: Orbis Tertius. Due anni prima, nelle pagine d'una enciclopedia plagiaria, avevo scoperto la sommaria descrizione d'un falso paese; ora il caso mi recava qualcosa di più prezioso e più arduo. Avevo tra mano, ora, un frammento vasto e metodico della Storia totale d'un pianeta sconosciuto, con le sue architetture e le sue guerre, col terrore delle sue mitologie e il rumore delle sue lingue, con i suoi imperatori e i suoi mari, con i suoi minerali e i suoi uccelli e i suoi pesci, con la sua algebra e il suo fuoco, con le sue controversie teologiche e metafisiche. E tutto ciò articolato, coerente, senza visibile intenzione dottrinale o parodica.
L'"undicesimo volume" di cui parlo contiene riferimenti a volumi precedenti e successivi. Néstor Ibarra in un articolo già classico della "N. R. F.", nega l'esistenza di questi volumi; Ezequiel Martínez Estrada e Drieu La Rochelle hanno confutato, forse vittoriosamente, questo dubbio. Ma il fatto è che, finora, le ricerche più diligenti sono rimaste senza risultato. Invano abbiamo scompigliato le biblioteche delle due Americhe e d'Europa. Alfonso Reyes, stanco di queste fatiche subalterne e poliziesche, propone che noi si intraprenda in comune l'opera di ricostruire i molti e massicci volumi che mancano: ex ungue leonem. Calcola un po' sul serio, un po' per scherzo, che una generazione di tlönisti potrebbe bastare.
Questo calcolo arrischiato ci riporta al problema fondamentale: chi furono gli inventori di Tlön? Il plurale è inevitabile, perché l'ipotesi d'un solo inventore - d'un infinito Leibniz operante nelle tenebre e nella modestia - è stata scartata all'unanimità. Si pensa che questo brave new world sia opera d'una società segreta di astronomi, di biologi, di ingegneri, di metafisici, di poeti, di chimici, di moralisti, di pittori, di geometri... sotto la direzione di un oscuro uomo di genio. Abbondano, infatti, gli individui che dominano queste diverse discipline, ma non quelli capaci di invenzione, e ancor meno quelli capaci di subordinare l'invenzione a un piano rigoroso e sistematico com'è il piano di Tlön. Questo piano è così vasto che il contributo di ciascuno scrittore dev'essere stato infinitesimale. Al principio si credette che Tlön fosse un puro caos, una irresponsabile licenza dell'immaginazione; si sa ora che è un cosmo, e le intime leggi che lo reggono sono state formulate, anche se in modo provvisorio. Mi basti ricordare che nelle contraddizioni apparenti dell'"undicesimo volume" s'è scorta la prova fondamentale che gli altri volumi esistono: tanto è lucido e giusto l'ordine in esso seguito. Le riviste popolari hanno divulgato, con perdonabile eccesso, la zoologia e la topografia di Tlön; io penso che le sue tigri trasparenti e le sue torri di sangue non meritino, forse, la continua attenzione di tutti gli uomini. Ma mi arrischio a spendere qualche minuto sulla sua concezione dell'universo.
  CONTINUA ...»

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